MAGICHE ATTESE

Le opere di Ermanno Zamboni si caratterizzano per l’incantato stupore di un mondo pieno di enigma, silenzio e magia. Un mondo le cui scenografie sembrano uscite direttamente dalle pagine di un libro di Fedro, dagli atti di una tragedia greca o dai sogni più arcani, fatti di simboli ed allusioni cristiane. Ma tutto è congelato nell’istante in cui viene formulato. Proprio come nei fotogrammi di una pellicola cinematografica, il tempo si è arrestato in un’immobile e silenziosa eternità, perché spesso un silenzio è più esauriente di un ricco racconto, più sonoro di mille parole.

Il blu è un colore ricorrente nei quadri di Zamboni, ed è un blu irrealistico, onirico, profondo. E’ il blu della notte (che spesso fa da sfondo) appena rischiarato dalla fredda ed opalescente luce lunare. Su tutto aleggia un chiarore arbitrario ed inquietante. Anche quando si tratta di una natura morta non è mai isolata, l’artista cerca sempre di ambientarla in un paesaggio i cui blu cerulei sono carichi di ricordi.

In primo piano, quasi sempre, c’è una giovane figura di donna dal corpo levigato e armonioso, così perfetto nel suo candore da farlo sembrare di porcellana. Una luce irreale le accarezza i lineamenti modellandola con delicati passaggi tonali. LO sguardo è assorto, perso in remoti pensieri, là, in un lontano punto dell’orizzonte, ella attende, impenetrabile nella sua riservata solitudine, un miraggio, l’Annuncio, il rinnovarsi di un miracolo. Solo la speranza ancora sorregge il suo corpo, già esausto per le lunghe e malinconiche ore di attesa, e reso più fragile e diafano dalla trasparenza del colore.

Ma ancora più misteriose sono quelle spettrali presenze, quei simulacri costruiti con frammenti di antiche statue e che spesso Zamboni accosta alle giovani fanciulle. Da un caldo manto ambrato fuoriescono maschere immobili e stereotipate, volti di marmo che, nonostante la freddezza delle carni, diventano, a volte, più espressivi e reali delle loro compagne umane.

Enigmatici ed inafferrabili questi esseri occupano con dignità e prepotente carica interiore, testimoni eterni dell’arte ed in grado dunque di sopravvivere all'effimerità dell'uomo e del mondo. Nulla li può scalfire, turbare o scuotere, emblematici abitanti di un Universo senza fine.

Chissà allora se quel paesaggio che si intravede sullo sfondo, così strano, ma in fondo così famigliare, è la rappresentazione dei loro pensieri? O è forse una scena di vita quotidiana per la quale ormai Essi non provano più nessun interesse? O, ancora, sono essi i custodi, i degni paladini della segreta e magica sfera dei sentimenti, che i personaggi in secondo piano ci fanno intuire? A pensarci bene però tutti noi “sempre portiamo una maschera che non è mai la stessa ma che cambia per ognuna delle parti che ci ha assegnato la vita” (1). Allora, se guardiamo indietro, le vediamo, immobili come sfingi, bianche come marmo, in attesa di essere ancora indossate, magari dea altri, ed animarsi nel ruolo che a loro compete.

“Ma che maschera ci rimane quando si è soli (…)? In quell’ultima nudità (…) la più terribile perchè mostra l’anima senza difese”. (2)


LORELLA GIUDICI 1993


(1) da SOPRA EROI E TOMBE di Ernesto Sabato ed. Feltrinelli 1978
(2) op. cit. 1