ATTUALITÀ DELLA BELLEZZA

Nella visionarietà romantica dei suoi cicli pittorici Zamboni ha traversato una sorta di suggestivo simbolismo sognante, incantato, contemplativo, rivolgendo costantemente un suo appassionato sguardo interiore alla memoria della classicità pittorica. Ed è evidente come la tensione che ne ha sempre animato questa sua interna personalità ha una natura squisitamente spirituale, risultante d'una dialettica intima tra sensibilità e cultura che, sempre, viene oscillando tra misticismo e sensualità, tra cielo e terra, tra salvezza e dannazione, giungendo a darci opere di sicura presenza e di limpida, penetrante suggestione.

Credo che per Zamboni, difatti, la pittura abbia rappresentato e rappresenti come non mai l'espressione di un viaggio attorno alla propria anima, inteso, leopardianamente, come un lento aggallare di consapevolezze già intuite, come lo scorgere al proprio interno la fatale chiarità del destino tra classicità e metafisica, tra iperboli surreali e sospensioni fasciate di silenzio notturno.

E, di fronte a queste sue opere che da sempre hanno - come ha scritto l'amico Bruno Pozzato - il coraggio del classico, è subito evidente una qualità interna e particolare del comporre. Qualcosa che è dato da una sorta di vibratilità, di lievitazione della materia pittorica, per cui la pennellata interviene nel midollo dei colori a farli crepitare e vivere, a impastarli all'emozione stessa che ha dettato l'opera. Vedendo, tale qualità, accordati in felice intuizione il sentimento e la tecnica anche quando prevalgano nel quadro quei motivi di genere, siano essi quelli della natura morta o siano quelli del paesaggio fusi assieme in diversa mistura, che paiono essere la sponda costante di riferimento del suo linguaggio figurale.

Un linguaggio di pacati umori, si potrebbe dire psicologicamente fermentato e poi decantato, in cui la materia e l'immagine davvero coincidono espressivamente, e in cui la materia e il timbro sono quelli dello scavo interiore, dell'osservare curioso ma grave, della lenta sedimentazione dei simboli. Un linguaggio di velate melanconie, intriso di quello spleen un po' distaccato che deriva dall'esercizio della memoria classica, il quale, pur nell'assorta e austera dimensione dell'intonazione contemplativa, è anche capace di slanci d'umore appassionato, di guizzi e di accostamenti cromatici frizzanti, di suggestive e gustose levità tattili.

Ma si direbbe oggi che, nella contemplatività distesa e matura dei lavori di quest'ultimo decennio, nelle notti magiche, nei paesaggi e sottoboschi alla Böklin che fanno da sottofondo lunare al quieto enigma dei personaggi, egli riesca a distillare un tono di poesia in qualche modo pacificato, più sobrio e anche, se volete meno letterario d'un tempo.

Si direbbe insomma che la raffinazione di tutti i suoi materiali, oggi che Zamboni ha superato i sessantacinque anni, naturalmente volga a una nuova, e matura, stagione: alla quiete d'una ricomposizione capace di suggerire il sapore stupito della semplicità e dell'incanto.

Questa di Zamboni è dunque una pittura di verità poetica, che non si traveste da altro da sé, che non enfatizza né concettualizza la sua capacita di trasmettere al riquardante non frettoloso emozioni vive e reali. Una pittura appartata, che per questo non ha motivo di concedere nulla a qualcosa che non sia giustificato da ragioni liriche ed espressive reali. È un modo possibile, onesto, di stare dentro l'attualità dell'arte contemporanea, di misurarsi con le sue molteplici e contrastanti tendenze senza rinunciare all'esigenza forte di comunicare davvero allo spettatore il senso delle sue meditazioni.

Guardiamo queste sue immagini, così saporite e interroganti (a volte persino intriganti), che testimoniano della sua suggestiva ricerca. Come le possiamo definire, secondo il repertorio critico consueto? Romantiche, manieriste, simboliste, surreali, 'citazioniste' addirittura? Probabilmente ognuna di queste definizioni, diversamente amalgamate, si adattano tutte in qualche misura al suo lavoro. C'è insomma qualcosa di tutto questo nella personalità pittorica di Zamboni, così come, bisogna dirlo c'è anche una singolarissima e personalissima tensione verso ciò che non è pittoricamente 'di moda', che non è d'attualità opportunistica.

Eppure, malgrado questa sua programmatica diversità rispetto alle tendenze oggi più celebrate, queste tele sono da anni ben infitte nelle problematiche artistiche contemporanee più vere e più interessanti, e a pieno titolo ne fanno parte.

Anzi, si potrebbe dire che proprio per questa sua divergenza, per questa sua attitudine poetica non allineata, il suo itinerario pittorico è forse quello più di altri, magari più conosciuti e celebrati, in maniera più problematica ma anche più aperta e completa, rappresenta davvero un possibile odierno versante d'una pittura non distratta, non assente, non effimera o trascurata rispetto alla realtà che ci circonda, alle circostanze che definiscono la nostra vita di uomini e donne di oggi. Certo, non è la cronaca delle cose a interessare la sua pittura, così come non è un 'diario' diretto ed esplicito ad abitare i temi delle immagini. Ma c'è nelle sue cose una cultura dell'uomo, dei suoi sogni, delle sue memorie e fantasticazioni, così avvertita che, comunque, esse tornano a testimoniare in maniera palpitante il nostro presente, ad alludere, a suggerire sintesi e metafore efficacissime e significative.

Dunque a produrre brani e lacerti di poesia, cioè elementi di un discorso differito, trasfigurato, simbolico, capace di caricarsi di significazioni a più facce, di sensi molteplici, di feconde ambiquità, legate sempre a doppio filo, comunque, con le autentiche, 'semplici' verità della vita. Ecco il segreto della pittura di Ermanno Zamboni, della sua suggestività: ecco l'enigma del suo apparente anacronismo, la misteriosa attualità del fascino che viene evocando. Tutto sta nel suo appassionato legame con il mistero quotidiano e ripetuto dell'esistenza. Con il fantasticare assorto sulle emozioni, sui miti, sul mistero che ne possono trarre trasformandoli in espressione, in immagine, in emblema. Questa luce notturna, lunare di Zamboni è una luce di bellezza e insieme, appunto, di mistero lirico. Una luce un po' velata, ora, dalla melanconia del vero, come stupita in un incantesimo di simboli e di visioni, di sogno e d'aria. Accade a tutti i poeti

sinceri: Zamboni non ha mai cambiato amori, parole e accenti. Solo che oggi, dopo lo scroscio di questi nuovi terribili decenni, a quella luce s'è forse aggiunta anche un'ombra di tremore inquieto, una pellicola d'angoscia sottile, un filtro governato da leggerissimi, quasi impercettibili spostamenti della consapevolezza e forse del dolore. E allora le montagne incantate, i tramonti argentati, gli squardi silenziosi e ieratici, gli algidi abbandoni delle nature morte diventano rifugio e consolazione, appaiono come svolgimento naturale dello sguardo interno: modulazioni d'ombre luminose del cuore, coscienza e sentimento. Come per Balthus, anche per lui, allora, il mondo dell'immagine diviene il luogo dei riflessi e delle tracce, il prezioso groal delle ceneri e delle consapevolezze; ma soprattutto, il luogo straordinario dei sensi, della loro metafora, della loro trasfigurazione. Dalle luci di Vermeer, attraverso i veleni dell'oggi, o da quel filone della pittura che da Füssli ha scavato e scava nell'immaginario della metafora inquieta, del simbolo allarmato, questi quadri è come se riposassero l'anima in una metafisica del quotidiano, ben infitta nelle memorie, ugualmente palpitanti, della letteratura e della vita. Il fascino dell'immagine in pittura si fonda sul suo aspirare a essere lingua compiuta, poesia declinabile in mille maniere e accenti, ma la cui condizione, appunto di verità e insieme di lirismo, è che al suo centro sia davvero l'ansia del comunicare: comunicare non nell'accezione, pedissequa, di trasmettere, bensì in quella, estremamente più indispensabile, alta e fruttuosa, di sentire e di mettere in comune. Oggi che molte neo-avanquardie si sono consumate, mostrando le futili trame di cui erano intessute, la sostanza di queste immagini torna a sussurrare, all'orecchio di chi voglia ascoltarle, storie universali di cuore, d'anima e di pittura, saldate le une alle altre nel lirismo del racconto privato. Per questo il gioco della memoria di cui dicevo appare qui anche, certo, come un gioco del presente.

Grazie a Zamboni (e a quelli che come lui non si sono arresi mai alle stolte sirene dell'effimero) la continuità con ciò che è vero in pittura ritrova un suo senso, e la bellezza delle cose ritrova una sua indifferibile, dolcissima, pungente attualità.

Giorgio Seveso
1999